Di Andrea Ferella

Molti di noi, da un giorno all’altro, si sono trovati a dover fare i conti con eventi che hanno cambiato progetti in corso, prospettive, obiettivi. Tutto ciò ha coinvolto naturalmente anche il mondo dello sport, sia agonistico che amatoriale. Quali sono le conseguenze oltre che pratiche, sul piano psicologico ?

REAZIONI DEGLI SPORTIVI

Per rispondere a questo quesito ci aiutano gli studi che sono stati fatti sugli atleti che hanno dovuto interrompere l’attività sportiva in modo brusco (per es. per infortunio).

Da un punto di vista emozionale si attivano alcune reazioni caratteristiche, quali la rabbia, la sofferenza, la depressione, con sintomi ad essi correlati.

La rabbia per esempio è collegata alla paura e anche alle restrizioni e alla mancanza di libertà di fare attività che sono normalmente importanti per le persone ed in particolare, per chi fa sport. È un tipo speciale di rabbia, poiché non c’è nessuno da incolpare per ciò che sta accadendo.
Tra l’altro poiché la nostra mente tende ad etichettare gli eventi, ricerca in queste situazioni, una causa a tutti i costi, un capro espiatorio, che, sebbene disfunzionale, potrebbe dare un significato a ciò che sta accadendo: in altri termini,  in una prospettiva cognitiva, se trovo un difetto tutto sarà più facile da capire. Tutto ciò è necessario e confortante ma, al tempo stesso, semplicistico e soprattutto socialmente pericoloso ed inaccettabile.

Depressione: col passare del tempo, le persone possono iniziare a sentire sempre più la mancanza di contatti, relazioni, attività significative che erano solite dare loro sensazioni piacevoli e valore alla loro vita. Questo può portare qualcuno alla depressione, a causa della deprivazione che stanno attraversando per l’isolamento.

IL CONTESTO ATTUALE

Ma accanto a questi aspetti ve ne sono altri che sono forse più importanti e che in situazioni di emergenza come la nostra, fanno la differenza. In genere un buon sportivo si sente spesso dire in ambito medico: “si vede che lei fa (o ha fatto) sport”, indicando con ciò un apparente vantaggio che salta fuori soprattutto nell’ambito di un recupero funzionale o di raggiungimento, in minori tempi, della piena forma fisica. E ciò non riguarda solo la sfera corporea, ma anche e soprattutto quella psicologica. 

Parliamo, in altri termini, di un costrutto di cui ultimamente si sente molto parlare: quello che chiamiamo resilienza. Gli sportivi veri la conoscono bene, perché deriva dalla pratica costante e puntigliosa, imparata sul campo, che si può sintetizzare con questa frase: resilienza vuol dire tornare più forti di prima dopo una sconfitta o un infortunio che ti butta giù! È in quei frangenti che si espande la consapevolezza interiore che consente il superamento dell’ostacolo e che ci rende diversi ma ben più forti di prima. La resilienza può arrivare ad accettare l’inevitabile e ad aprire nuovi scenari portandoci  più avanti di come eravamo.

PROSPETTIVE SULLA RESILIENZA

Ma fino a poco tempo fa, la resilienza veniva concepita come ritorno allo status quo antecedente ad un cambiamento, in una sorta di “restitutio ad integrum” . Tutto ciò a causa della sua definizione applicata all’ambito tecnologico (Vocabolario Treccani – Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale) che deriva dall’etimologia della parola latina resilio (rimbalzare, tornare indietro). La resilienza si è mostrata per anni come un aggiustamento positivo di fronte alle avversità, da battute d’arresto o nuove competizioni, come capacità di assorbire tensioni e come capacità di adattamento al nuovo ambiente.

Una lettura più moderna della resilienza invece, quella che ci proietta al periodo di oggi e che ci offre una nuova prospettiva per superarlo, include lo sviluppo di nuove capacità e l’abilità di tenere il passo con le opportunità che si creano dal cambiamento. In questa prospettiva, il concetto di resilienza include la possibilità di sfruttare sfide e criticità per accrescere le proprie risorse e competenze.

La visione più attuale di questa caratteristica consente di scorgere, comprendere, rispondere e superare i cambiamenti, costruendo nuove risorse personali e diventando i principali artefici non di un ritorno allo status quo ma di un salto in  avanti verso un nuovo futuro.

 Un approccio che ogni allenatore conosce molto bene, come leva per motivare ed avere una visione più allargata e che potremmo sintetizzare nella frase: “la nostra miglior partita, sarà la prossima!”. Un approccio che mira ad aprirci ad ogni tipo di cambiamento e a reagire flessibilmente preparandoci ad una ripartenza nella quale noi potremo essere i veri protagonisti.

Siamo pronti a ciò? Riusciremo a cambiare i nostri vecchi schemi, a rimetterci in gioco, a cambiare appunto strategia e forse anche a cambiare obiettivi ?

 Il tema è complesso, ma la complessità non deve essere un alibi per non affrontare la questione.

A ben pensarci se guardiamo al passato, la resilienza, nel moderno significato, era già emersa per esempio all’indomani di importanti epidemie e nelle riprese economiche dopo le grandi guerre. Per questa ragione credo che, sebbene non ci siano ancora risposte certe sui nuovi scenari futuri, sia proprio la consapevolezza che le persone ed il mondo siano già stati artefici di numerose rinascite a ispirarci nel guardare con sicurezza oltre la crisi.

Per ogni problema complesso,
 c’è sempre una soluzione semplice.
 Che è sbagliata
“.
 (G.B. Shaw)