Le forme dell’amore

Essere amati. Il principio fondamentale. La base di tutto. Il neonato nasce con una predisposizione biologica formidabile per suscitare simpatia, affetto e cura da parte degli adulti che lo vedono. Essere amati è cruciale per la sopravvivenza, a ogni costo.

Crescendo, l’essere amati assume la declinazione specifica del “essere amato così come sono“. Il bisogno di affetto e vicinanza si unisce al bisogno di supporto per i nostri progetti e al bisogno di sentirci visti, riconosciuti, e quindi accettati, nella nostra unicità.

Alcune persone non possono godere di questo privilegio. Il fatto stesso di esistere, essere al mondo, è subordinato all’imperativo di compiacere i bisogni e desideri degli altri, da cui ci si aspetta amore. Non puoi essere semplicemente “quello che sei”, non hai il diritto nemmeno ad esplorarlo. Se ci provi, se esci dal tracciato (costituito dalla soggettività degli altri – es. genitori), dovrai scontare diverse penitenze. Alcuni esempi:

  • l’abbandono. Il messaggio, implicito e talvolta esplicito, è: “se osi fare in modo diverso da ciò che noi vogliamo o siamo, sappi che perderai il nostro amore, non avrai sostegno, dovrai cavartela con le tue sole risorse”.
  • la ritorsione. “se provi a differenziarti da noi, a cercare la tua strada, le tue forme, noi ci arrabbieremo tanto e ti odieremo, oppure andremo in pezzi, quindi dovrai portare per sempre sulle tue spalle il peso del senso di colpa”.

Chi subisce questo genere di dinamiche relazionali nella prima infanzia, sviluppa una personalità adulta estremamente attenta ai micro-segnali di approvazione / disapprovazione. Senza nemmeno rendersi conto, l’adattabilità ai vari contesti diventa un tiranno che spinge a conformarsi, compulsivamente e senza poterne fare a meno, alle aspettative (anche solo ipotizzate) degli altri.

Chi sono alla fine, veramente?

Si tratta di una frattura della psiche estremamente profonda e dolorosa. Un dolore ineffabile, di cui sovente ci si vergogna, perché fa sentire incomprensibilmente disperati, soli, e “sbagliati”.

Alcuni tengono a bada questo dolore rimuovendo dalla consapevolezza tutto ciò che crea dissonanza. Per esempio, diventando al 100% quel bambino (o quell’adulto) che i genitori avrebbero voluto, relegando le altre parti di se stessi nell’area del “non-me”. Quando queste premono per farsi sentire, possono subentrare sintomi come gli attacchi di panico o la depersonalizzazione. Oppure con attacchi di rabbia furente, incontrollata e apparentemente non legata al contesto. Può capitare anche di sviluppare una fortissima fobia per la propria rabbia, che ribolle nel profondo, e così non appena questa accenna ad emergere, ecco pronto il panico, che rimette in una condizione di passiva dipendenza, o la depersonalizzazione, che porta a dubitare di tutto, compresa la validità delle proprie percezioni.

Altre persone invece rimangono in una sorta di limbo, cambiano atteggiamenti e desideri a seconda del contesto, o sviluppano dipendenze affettive, nell’illusione che, se trovassero la persona perfetta da amare e da cui essere amati, questo risolverebbe le falle presenti nel proprio Sé.

Uno spazio libero

Purtroppo non esistono soluzioni magiche e definitive al dilemma di chi cresce tagliando a pezzi la propria identità. Bisogna imparare a riconoscere le parti rinnegate di se stessi, dar loro una casa, accettare le ondate emotive e l’inevitabile senso di confusione che, inizialmente, può arrivare.

Certo, da soli , chiusi nella gabbia della vergogna, che spegne ogni comunicabilità con l’esterno, non si va molto lontano. Occorre osare aprirsi, con le persone adatte, sfidando la paura del giudizio e dei propri sentimenti.

La psicoterapia può diventare allora quello spazio di libera esplorazione, dove concedersi di sostare, ascoltare, sentire, giocare, lasciar emergere le forme dall’interno, piuttosto che da fuori, sviluppando la capacità di trovare la propria posizione nel mondo e legittimarsela.

La vita sarà sempre una messa alla prova, certi traumi non vengono risolti per sempre; la sfida sta anche nel riuscire a perseguire l’autodeterminazione nonostante questo richieda una quota extra di fatica. Ma il gioco vale la candela.