di STEFANIA POZZI

Si parla di sogni dalla notte dei tempi. Ho deciso di dedicare ugualmente un articolo a questo tema perché intendo presentarne una lettura diversa e a mio parere umanamente arricchente, oltre che scientificamente fondata. Mi avvalgo in modo particolare dei contributi di J.L. Fossaghe, psicanalista di orientamento intersoggettivo. Preciso che si tratta di un modello molto simile ad altri descritti nell’ambito del costruttivismo e del cognitivismo evoluzionista, così come ai modelli di autori “frontalieri” tra i quali Wilma Bucci.

Centrale a tutti questi modelli è l’idea che ciò che conta è l’atto del sognare, non lo specifico contenuto del sogno. Oggi sappiamo che la mente funziona come un processore di dati, che elabora e organizza l’esperienza in modi sempre più complessi e utili per la nostra vita. Esistono diversi processi di elaborazione dell’esperienza. L’attività onirica è uno di questi! Quando sogniamo, il nostro cervello cerca soluzioni a dei problemi, rivede tutti i dati dell’esperienza (attuale, passata, finalizzata ad uno scopo futuro, etc.), li passa in rassegna, li smista, li ri-codifica in formati nuovi, li assembla, li unisce, li divide… in pratica, sognare ci permette di organizzare il nostro mondo interno, rendendolo utilizzabile per affrontare la vita in modo efficace.

Data la complessità dell’argomento, l’articolo è stato suddiviso in tre parti:

  1. Nella prima parte, verranno messe alla prova le convinzioni comuni sui sogni.
  2. Nella seconda parte, verranno forniti cenni di psicofisiologia del sonno e dei sogni.
  3. Nella terza parte, verrà presentato il modello intersoggettivo sui sogni come modo per organizzare l’esperienza; qui verranno descritte le tre principali funzioni psicologiche svolte dall’attività onirica.

(Parte 1)
MITI DA SFATARE

Nell’antichità si pensava che i sogni fossero delle rivelazioni divine, dei messaggi provenienti dal mondo trascendente. Indovini, sciamani e teologi si sforzavano di dare una “interpretazione” del sogno, ritenendo che le immagini oniriche fossero dei simboli, da decodificare. La lettura che ne diede Freud era abbastanza simile. Anche lui riteneva che i sogni avessero un significato simbolico, da interpretare. La differenza è che, nella sua prospettiva, il messaggio non proveniva dall’aldilà o da Dio, bensì dall’inconscio, della psiche del sognatore. L’idea freudiana che l’analista debba rintracciare il “contenuto latente” del sogno, presuppone che il contenuto “manifesto” (ciò che il sognatore ricorda al suo risveglio) non sia nient’altro che un “camuffamento” o copertura per esprimere un messaggio misterioso, senza svelarlo del tutto.

Questa lettura, per quanto affascinante, non è suffragata dalla ricerca empirica. Inoltre rischia di portare le persone dentro dei vicoli ciechi che limitano, invece di arricchire, l’esperienza del sognatore. Vediamo ora alcuni miti sui sogni che devono essere sfatati:

1)    NON ESISTONO SIGNIFICATI UNIVERSALI PRECONFEZIONATI

Quando vi imbattete nei “dizionari dei sogni”, o in riferimenti a simbologie specifiche del tipo “se sogni un albero, significa che (…)” … Chiudete il libro!! Le immagini oniriche non celano alcun significato recondito e non esistono significati prestabiliti e validi per tutti.

È tutto alla luce del sole.      Le immagini dei sogni vengono scelte sulla base del loro potere evocativo, cioè sono il miglior linguaggio disponibile al sognatore in quel momento, per esprimere e facilitare ciò a cui sta pensando. La mente in questo caso agisce come il regista di un film che sceglie l’angolatura per le riprese, il sottofondo musicale, le luci, il volto e l’atteggiamento dei personaggi, gli oggetti sulla scena, proprio perché si prestano ad esprimere al meglio il significato affettivo e concettuale che vuole trasmettere.

I significati sono sempre soggettivi.   Sebbene le icone condivise entro un certo contesto culturale, siano più facilmente accessibili ai membri di quella cultura, non esistono significati univoci per le immagini oniriche. I significati sono sempre soggettivi. Per capirli, bisogna guardare la globalità del sogno e contestualizzare alla storia personale, al momento di vita specifico nel quale emerge il sogno, al significato emotivo che il sognatore dà al suo sogno, nel qui ed ora, ai sentimenti legati al condividere con qualcuno quel sogno, etc.

2)    NON TUTTI I SOGNI SIGNIFICANO QUALCOSA

Per i più appassionati di psicanalisi, ho una notizia deludente: non sempre i sogni hanno un significato o una funzione psicologica particolari. A volte sogniamo come semplice reflusso delle scariche neuronali della fase REM del sonno, magari incorporando elementi dell’esperienza fatta nella veglia, senza un particolare “significato psicologico” e con un minimo effetto sul sognatore.

Alcune persone si impegnano davvero tanto per ricordare i propri sogni, tengono un diario dove annotano, ogni mattina, tutti i sogni fatti. Mi sembra uno sforzo titanico, talvolta inefficace (certi sogni rimangono un mistero…), e a volte persino controproducente, per esempio quando diventa una ossessione che mantiene il soggetto dentro uno schema di controllo su di sé, con perdita di spontaneità e impoverimento del potenziale creativo del sogno.

Non sto dicendo che dobbiamo lasciare andare i nostri sogni… A volte, quando meno ce lo aspettiamo, capita di fare un sogno che ci colpisce particolarmente, che ci rimane impresso, non sappiamo perché, ma sentiamo che quel sogno era molto vivido, ci ha coinvolti emotivamente, oppure ha una qualità di “pregnanza” da cui intuiamo che il sogno ha qualcosa di molto importante per noi, che dobbiamo capire. In questi casi, scrivere un resoconto del proprio sogno può essere un’esperienza arricchente e costruttiva. Non solo perché “fissiamo” la memoria del sogno, ma perché nell’atto dello scrivere, mettiamo in moto un processo dove le immagini del sogno vanno naturalmente a connettersi con sensazioni, pensieri, riflessioni, insight, ricordi, ampliando la percezione di noi stessi.

Se non ci ricordiamo i sogni, o il sogno è molto vago… Niente panico! Può darsi che la vaghezza del sogno rispecchi un pensiero che è ancora poco formulato, e allora dobbiamo solo attendere che si definisca in modo naturale. Insomma, evitiamo di sforzarci di ricordare o di dare un significato ai nostri sogni a tutti i costi!

Mettiamo il caso che un uomo sogni un cappello da alpino. Questo può non avere alcun significato specifico. Può darsi che il sognatore, la sera prima di addormentarsi, avesse visto un documentario sulla II guerra mondiale e fosse rimasto impressionato dall’immagine della lunga penna sul cappello degli alpini italiani, semplicemente perché era più grande di come se l’aspettava.

Se però sappiamo che, quando il sognatore era bambino, il cappello da alpino del nonno era per lui fonte di orgoglio, il quadro cambia. Mettiamo il caso che quel sognatore fosse cresciuto in una famiglia composta da un padre alcolizzato e depresso e una madre insoddisfatta della vita. Mettiamo che questo signore, oggi 40enne, abbia sempre lottato contro un sentimento di inadeguatezza, contro la convinzione di essere un fallimento, proprio come i suoi genitori. Un giorno, dopo alcuni mesi di psicoterapia, questa persona improvvisamente riferisce di avere sognato che un uomo di elevato rango sociale e carismatico gli porgeva il cappello da alpino. Il terapeuta potrebbe chiedergli come si sentisse, nel sogno, nel momento in cui gli veniva presentato il cappello. Il paziente potrebbe rispondere: “mi sentivo bene, una sensazione strana, nuova… mi sembrava un onore che quell’uomo stesse dando proprio a me quel cappello… Ancora adesso mi chiedo come mai lo stava dando proprio a me”. Nel proseguire l’esplorazione congiunta del sogno, terapeuta e paziente potrebbero giungere alla consapevolezza che in quel sogno si stava facendo strada un sentimento di orgoglio, veicolato dal ricordo di un nonno, mai conosciuto, ma del quale il paziente ha sempre sentito parlare come di un eroe. Un nonno di cui tutti si erano dimenticati e il cui ricordo si affaccia ora alla sua mente, in un momento della vita in cui la rigidità del suo schema emotivo-cognitivo di inadeguatezza comincia ad essere trasformata. Ecco allora che l’immagine dell’uomo carismatico che porge il cappello da alpino, proprio per lo specifico significato personale di quell’oggetto (il cappello del nonno), diviene baluardo di sentimenti positivi verso le proprie origini, permettendo così al paziente di recuperare un senso più positivo della sua storia intergenerazionale e, quindi, la possibilità di rintracciare anche dentro di sé una immagine più valorizzabile.

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Riferimenti bibliografici

Bellieni, C.V. (2004). L’alba dell’“io”. Dolore, desideri, sogno, memoria del feto. Firenze: Società Editrice Fiorentina.

Bucci, W. (1997). Psicoanalisi e scienza cognitiva. Una teoria del codice multiplo. Giovanni Fioriti Editore

Fossaghe, J., Le funzioni organizzatrici dell’attività mentale del sogno. Istituto per lo Studio Psicoanalitico della Soggettività. Roma, 9 maggio 1998

Fosshage J. (1983). The psychological function of dreams. A revised psychoanalytic perspective, Psychoanalysis and Contemporary Thought, 6, pp. 641-69

Grey, P. (2004). Psicologia (pp. 178-189). Bologna: Zanichelli

Ohlsson, S. (2011). Deep learning: How the mind overrides experience. New York: Cambridge University Press

Storolow, R.D., Brandchaft, B., Atwood, G.E, Fossaghe, J., & Lachmann, F. (2004). Psicopatologia intersoggettiva (II ed). Urbino: Quattro Venti